Aldo Varotto

Lavoro

Premessa

"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro."
Articolo 1 della Costituzione della Repubblica Italiana.

"È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."
Articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana.

"La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società."
Articolo 4 della Costituzione della Repubblica Italiana.

Trovo che queste definizioni, probabilmente considerate scontate da molti di noi, siano di fondamentale importanza, e probabilmente sono state oggetto di approfondite discussioni durante l'Assemblea Costituente.

Credo che il lavoro rappresenti una delle componenti più importanti nella realizzazione e per il benessere delle persone e di tutta la società.
È l'attività che occupa la maggior parte del nostro tempo, e da cui originano non solo i mezzi di sostentamento, ma anche l'autostima per le proprie capacità, la possibilità di essere utile per gli altri, e di partecipare, anche nell'occupazione più umile al progresso della propria società.
Il nostro vivere insieme dipende dal concorso di molti diversi lavori e lavoratori che garantiscono il corretto funzionamento dei vari aspetti della nostra vita.
In ogni momento possiamo dedicarci a ciò che stiamo facendo, perché contemporaneamente ci sono altre persone che si occupano di altre cose. Proprio ora ci sarà qualcuno che si occupa di far funzionare le strade, di coltivare la terra, di farci arrivare a casa l'energia elettrica, l'acqua, di curare i malati, di insegnare ai bambini, ecc.), in un' incredibile e meravigliosa organizzazione collettiva.
Chi potrebbe dedicarsi ai propri interessi ed alle proprie passioni senza mezzi di sostentamento?
Chi avrebbe diritto di usufruire dei benefici sociali senza apportare il proprio contributo alla loro realizzazione?

Negli ultimi anni, ed ancor più negli ultimi mesi, mi pare si sia verificato un cambiamento importantissimo nelle modalità con cui vengono gestiti i rapporti di lavoro.
E questi cambiamenti minacciano gravemente la realizzazione degli individui, e la via sociale.

Quanto e come si lavora, e come si guadagna

Circa 100 anni fa l'economista umanista Keynes aveva previsto che, entro un secolo, il progresso delle nostre società avrebbe consentito di ridurre a 3 ore l'impegno lavorativo di ognuno di noi per guadagnarsi da vivere.
I fatti, invece lo hanno smentito.

Si devono mettere in conto periodi di studio, di formazione, e di tirocinio sempre più lunghi.
Ormai si deve essere dottori per poter lavorare poche ore al giorno in un call center.

Si devono mettere in conto il lavoro di ricerca del proprio lavoro, e le angosce per la progressiva scomparsa del posto di lavoro fisso.
Si lavora sempre, e magari di più (negli ultimi 15 anni l'orario lavorativo è aumentato di circa 4 ore la settimana).

La stragrande maggioranza dei nuovi posti di lavoro (76%) è nei servizi, mentre diminuiscono le persone impiegate nella produzione di beni materiali, nelle campagne e nelle fabbriche.
Chi si arricchisce spesso lo fa grazie a speculazioni immobiliari, cioè rivendendo a prezzi molto maggiorati beni immobili a cui generalmente non ha apportato nessuna miglioria.
E questo arricchimento viene finanziato spesso dai lavoratori meno agiati, che si indebitano per riuscire ad acquistare la propria casa.
Gli scambi finanziari muovono quantità di danaro che superano decine di volte quelli degli scambi reali di merci.
Gli esperti di borsa, e gli speculatori finanziari si arricchiscono senza produrre nulla, mentre chi investe in borsa i frutti del proprio lavoro spesso rischia di rimanere privato dei propri risparmi.

Negli ultimi decenni non sono migliorati gli stipendi dei lavoratori delle fasce più basse.
Il livello medio dei redditi familiari è rimasto stazionario solo per l'entrata in massa delle donne nel mercato del lavoro.
Nonostante la pressione fiscale sia aumentata, si sia ridotto il "lavoro nero", e sia aumentato il numero di lavoratori, la possibilità di poter ottenere una pensione dignitosa, diventa sempre meno probabile e sempre più proiettata in un futuro remoto.

Lavoro dipendente, o libero professionale?

Fino a pochi anni fa esistevano in Italia 2 grandi categorie di lavoratori: i lavoratori dipendenti, ed i liberi professionisti.

I lavoratori dipendenti svolgevano dei compiti prestabiliti, per un orario prestabilito, con le modalità e le attrezzature fornite dal datore di lavoro.
Il rapporto di lavoro era generalmente regolato da un contratto che faceva riferimento ad un contratto collettivo nazionele (ad esempio li contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici, o dei medici, ecc.) che veniva discusso a livello nazionale da esperti che si avvalevano delle esperienze di tutti i lavoratori di una determinata categoria.
Chi discuteva questi contratti poteva stabilire delle condizioni equivalenti per tutti i lavoratori Italiani di una determinata categoria riguardo i compensi, i rischi professionali, la tutela previdenziale, ecc.
Questo garantiva al lavoratore di poter svolgere un lavoro a delle condizioni e con delle garanzie di equità riconosciute a livello nazionale, di poter contare su assicurazioni professionali e previdenziali standardizzate.
Non aveva invece la possibilità di aumentare i propri guadagni oltre quanto stabilito dal contratto, né, generalmente, la libertà di decidere come svolgere la propria attività lavorativa.

I lavoratori liberi professionisti, avevano invece l'opportunità di decidere autonomamente, quanto lavorare, come lavorare, che attrezzature utilizzare, quanto investire o risparmiare, che tariffe applicare alle loro prestazioni, avevano la possibilità di ottenere guadagni superiori a quelli del lavoratore dipendente, ma avevano anche i rischi del fallimento della propria attività, e la responsabilità di fornire a se stessi le garanzie per i rischi professionali, la previdenza, ecc.

La riforma del lavoro

Attualmente le 2 categorie di lavoratori appena descritte stanno venendo sostituite da una nuova categoria di lavoratori.
Lavorano con le attrezzature, le modalità i tempi ed i compensi stabiliti dal datore di lavoro (come un dipendente), ma le prestazioni vengono pagate dietro rilascio di fattura come se si trattasse di prestazioni libero-professionali.
Il datore di lavoro si libera in questo modo dalla maggior parte dei vincoli stabiliti dai contratti collettivi nazionali, dai costi dei rischi professionali e previdenziali, degli obblighi riguardo la durata del rapporto di lavoro.
Mentre la "libertà" del "libero professionista" si limita alla possibilità di accettare o rifiutare la proposta del datore di lavoro, di accettare eventualmente proposte da enti diversi, alla possibilità di scegliere l'assicurazione previdenziale o contro gli infortuni che ritiene più conveniente (o di scegliere di non averle se non dispone di adeguate risorse finanziarie).
Sapete che già oggi negli ospedali pubblici, come nella gran parte degli uffici pubblici sono bloccate le assunzioni, e gran parete dei medici che vi lavorano non sono "dipendenti"?

La recente riforma "Biagi" nelle intenzioni degli autori è stata proposta per far emergere il lavoro nero, per consentire di regolarizzare anche i rapporti di lavoro di breve durata, ecc.
Secondo le statistiche, la stragrande maggioranza di questi lavori "atipici", si trasforma in poco tempo in una vera e propria assunzione, che sarebbe prevista per legge, e che sarebbe vantaggiosa anche per il datore di lavoro.

Invece, nella mia limitata esperienza personale, anche negli ospedali, ho incontrato persone che lavorano da molti anni (anche più di 8) con contratti atipici per grandi aziende.
Il loro lavoro è del tutto simile a quello dei loro colleghi regolarmente assunti.
Ma i primi non si ammalano, non hanno ferie, non maturano benefici con l'anzianità lavorativa, devono provvedere personalmente a tutelarsi dagli infortuni e dai rischi professionali, non sono tutelati dai sindacati.
Spesso vengono costretti, a lavorare per molte più ore di quelle che vengono loro pagate in base ai contratti (è ciò che si aspettano i dirigenti da un dipendente che non voglia essere sostituito da un "collaboratore" più accondiscendente).
L'orario di lavoro viene talvolta spezzettato in numerosi accessi giornalieri in base alle esclusive esigenze del datore di lavoro.
L'obbligo del datore di lavoro di assumere un lavoratore che collabora con contratti atipici dopo un certo periodo di tempo, viene aggirato, intervallando tra un contratto ed il successivo pochi giorni di sospensione.

Flessibilità?

Flessibilità significa poter cambiare più facilmente lavoro per trovare quello più adatto alle proprie esigenze, ed alle proprie capacità?
Chi non desidera poter andare a lavorare in un posto migliore, evitando i tempi i costi e le umiliazioni dei concorsi "truccati" che favoriscono sempre qualcuno che non è il migliore?
Chi non vorrebbe poter cambiare lavoro senza timore di perdere o di dover trasferire i propri contributi previdenziali da un'ente all'altro?
Chi non vorrebbe evitare di impazzire con la denuncia dei redditi complicata da certificazioni diverse e diversamente aggiornate da enti diversi?

Mi pare però che questi temi non siano stati affrontati dalla recente riforma.
Mi pare che per "flessibilità" venga intesa la possibilità di utilizzare per lavori di tipo dipendente, persone con contratti atipici, al di fuori delle regole di equità dei contratti collettivi nazionali, e spesso pagati come se si trattasse di prestazioni libero professionali.
Per "flessibilità" si intende lasciare a carico del lavoratore gli oneri assicurativi e previdenziali.
Per "flessibilità" si intende eliminazione dei sindacati, che potevano difendere determinate categorie di lavoratori, perché quelle categorie di lavoratori dipendenti sono scomparse nelle definizioni. Ora il lavoratore in caso di discordia con il datore di lavoro, può trovarsi da solo a contrastare le azioni dell'ufficio legale di una grande ditta come la FIAT (se fa l'operaio), od una Azienda Ospedaliera (se lavora in un Ospedale).
Per "flessibilità" si intende la possibilità di assumere personale senza concorsi pubblici e quindi con la massima discrezionalità.
Per "flessibilità" si intende che, in caso di successo imprenditoriale i guadagni vanno a beneficio del datore di lavoro, ma in caso di insuccesso i rischi cadono sui dipendenti verso cui il datore di lavoro non ha obblighi sanciti per legge, e quindi possono perdere il lavoro senza alcuna tutela.

Mi pare che con la parola "flessibilità" si sia voluta coprire un'azione, che con un colpo di spugna, ha eliminato gran parte dei progressi introdotti a costo di lotte e sacrifici dai lavoratori negli ultimi 300 anni.



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