Così recitava il ritornello di una diffusa canzoncina...
Sono un medico, la mia laurea, l'abilitazione professionale, ed il diploma di specializzazione hanno validità in tutta Italia.
Lavoro in un'ospedale pubblico, a Vigevano, in provincia di Pavia, in Lombardia.
A poco più di 10 Km di distanza da dove lavoro ci sono paesi e cittadine, i cui abitanti frequentano l'ospedale in cui lavoro, ma che appartengono a provincie (es.Abbiategrasso -MI-), o addirittura regioni diverse (es. Cerano, o Trecate -NO-).
Se a qualcuno di questi pazienti prescrivo sul ricettario del "sistema sanitario nazionale" (uguale in tutta Italia) un esame od un farmaco, gli verranno forniti con modalità, in luoghi, ed a costi molto diversi a seconda che la loro residenza sia a 9 o 11 km di distanza dall'ospedale.
Nel caso della prescrizione di un farmaco, il paziente di Cerano la potrà utilizzare solo in Lombardia, ma non nel proprio paese, o a Novara (la città più vicina). In Lombardia però avrà aggravio di costo di 2 euro di "tiket" che non c'è in Piemonte.
Analogamente un paziente residente a Vigevano, ma che per qualche ragione (lavoro, vacanze) volesse utilizzare fuori regione (anche soli 10 km lontano da casa) la ricetta che gli ho preparato, dovrebbe pagarsi completamente di propria tasca il costo del farmaco, a meno di non rivolgersi al medico di guardia della regione in cui si trova per farsi trascrivere una ricetta uguale a quella di cui era già in possesso.
Le prescrizioni per esami strumentali, visite specialistiche, e prestazioni ospedaliere si possono invece spendere ovunque, ma a condizioni molto diverse.
I "tiket" richiesti nelle varie regioni, ed i tempi d'attesa sono molto vari.
So di alcuni pazienti, più abili, o più attenti del comune che riescono a scegliere il posto in cui spendere meno ed ottenere più rapidamente le prestazioni di cui hanno bisogno (alcuni sofisticati esami diagnostici oculistici, sono enormemente meno costosi in Piemonte che in lombardia, e questo causa una emigrazione di pazienti).
Con una certa frequenza, utilizzo l'automobile per tornare nelle città originarie mie e di mia moglie, per incontrare fratelli, sorelle, parenti, ed amici.
La mia auto è poco inquinante (alimentata a metano), ogni 2 anni viene sottoposta ad un collaudo obbligatorio, per verificare che risponda pienamente ai requisiti e le norme nazionali per la circolazione (anche per quel che riguarda le emissioni inquinanti).
Pago annualmente il "bollo", che è stato rinominato "tassa di proprietà" per costringere a pagarlo anche chi non utilizza l'automobile, ma che viene calcolato in base alle caratteristiche della motorizzazione, e non sul valore del veicolo (che in alcuni casi è inferiore al costo della tassa), una tassa che serve a finanziare la manutenzione ed il miglioramento della nostra rete stradale, e per la quale era più adeguata la vecchia definizione di "tassa di circolazione".
Perché sulle tangenziali, all'uscita dalle autostrade, all'ingresso di ogni centro cittadino che devo attraversare, in posizioni in cui è impossibile o rischioso fermare la macchina, i singoli comuni si possono permettere di posizionare un divieto di transito ai veicoli sprovvisti del "bollino blu" di certificazione comunale di appropriatezza delle emissioni inquinanti della mia autovettura?
Con il passare degli anni, parcheggiare l'automobile è diventato sempre più difficile e costoso.
Non si tratta soltanto dell'aumento del numero di veicoli circolanti.
Né soltanto di un modo per scoraggiare l'uso dell'auto.
Probabilmente si tratta soprattutto di una fonte di finanziamento facile e sicura per le amministrazioni locali.
Ovunque per parcheggiare la macchina bisogna pagare, e generalmente senza avere in cambio nessun servizio (sorveglianza, protezione dagli agenti atmosferici, ecc.), generalmente con i cartoncini "gratta e paga".
Questo avviene non solo nei centri storici delle città, dove gli spazi sono limitati e sono disponibili mezzi di trasporto alternativi.
È così anche in zone desertiche e non diversamente raggiungibili, come le grotte di Castellana in Puglia sull'altipiano delle murge, o per chilometri e chilometri nei dintorni degli aereoporti di Milano (dove un parcheggio all'aperto costa anche 25 € al giorno).
In un tempo poco lontano esisteva una legge che impediva queste cose, e precisava che al massimo 1/3 dei parcheggi poteva essere a pagamento ed in cambio di un servizio, dal momento che si pagava già la "tassa di circolazione".
Le brevi storie appena proposte fanno parte dell'esperienza quotidiana di ognuno di noi.
Ciò che le accomuna è la perdita di un diritto sancito dalla nostra costituzione, di poter circolare liberamente all'interno del nostro paese, e l'uguaglianza di tutti i cittadini nell'accesso ai servizi pubblici.
Il fatto che i singoli comuni possano imporre tasse aggiuntive sulla circolazione dei veicoli, possano imporre immotivate tariffe sui parcheggi, o sulle ricette mediche, mi hanno fatto tornare alla mente i dazi che venivano imposti all'epoca dei comuni agli attraversamenti di strade, o ponti.
In un'epoca in cui si parla di globalizzazione, di libera circolazione delle merci, di europa unita, in Italia ritornano le tasse delle singole regioni, e dei singoli comuni.
Perfino l'assistenza sanitaria si differenzia molto tra comuni e regioni diverse, sia per le prestazioni fornite, sia per i costi per i cittadini.
Le recenti modifiche dell'organizzazione della gestione della cosa pubblica in senso "federale" non corrispondono per niente alle mie aspettative.